Interessante video sulle conseguenze della globalizzazione sul terzo mondo, attraverso il potere finanziario e politico delle multinazionali e la monocultura a discapito della biodiversità e dei piccoli coltivatori
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Luogo d'incontro per una comunità da costruire
Il programma, le motivazioni, la realizzazione e gli intenti della vita comunitaria. Condividiamo le nostre esperienze
lunedì 30 giugno 2014
L'ultimo contadino (The last farmer)
Interessante video sulle conseguenze della globalizzazione sul terzo mondo, attraverso il potere finanziario e politico delle multinazionali e la monocultura a discapito della biodiversità e dei piccoli coltivatori
domenica 1 giugno 2014
Il grido delle donne dal sud dell'Asia
fonte: http://vaticaninsider.lastampa.it
Abusi sulle donne in Asia del Sud: la Chiesa dice basta
Dopo i due terribili casi di violenza in India e Pakistan, i vescovi rilanciano l’appello per promuovere e tutelare la condizione femminile
Paolo Affatato
Roma
Roma
La Chiesa è tra le forze trainanti nel difendere la dignità e diritti
della donna in Asia del sud. Due casi di estrema violenza hanno turbato
nei giorni scorsi l’India (due adolescenti sono state stuprate e
impiccate da un gruppo di giovani nello stato di Uttar Pradesh) e il
Pakistan, dove una donna è stata lapidata dai suoi familiari, in un
cosiddetto “delitto d’onore”. I due crimini riportano l’attenzione
internazionale sulla condizione femminile nelle nazioni del
subcontinente indiano (Pakistan, India, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka),
accomunate da una modello di società patriarcale che, soprattutto nelle
aree rurali, tiene la donna in uno stato di subordinazione che a volte
degenera in autentico schiavismo. Inoltre, il perdurare del sistema
castale, formalmente abolito ma di fatto tuttora vigente nella mentalità
e nella prassi, è un fattore aggravante per le donne appartenenti alle
caste più basse o ai fuori casta (i cosiddetti pària o dalit),
nonchè per quelle provenienti dalle minoranze religiose (cristiani e
indù in Pakistan; musulmani e cristiani in India), particolarmente
vulnerabili agli abusi e spesso considerate alla stregua di bestiame o
perfino di merce.
Nel caso indiano, la nazione detiene il triste record mondiale per i
maltrattamenti sulle donne. L’abuso fisico è considerato un “diritto del
marito”, mentre quasi la metà delle violenze registrate colpisce
bambine tra 5 e 10 anni. Secondo ancestrali tradizioni culturali, la
nascita di una bambina è considerata una rovina, perché richiede
sacrifici per mettere da parte la dote. E, quando le famiglie sono molto
numerose, le bambine sono spesso costrette a prostituirsi. La pratica
dell’aborto selettivo (se ne stimano 12 milioni negli ultimi trent’anni)
e dell’infanticidio femminile è tuttora diffusa, quanto il traffico di
donne e bambine, soprattutto nelle aree tribali, celato spesso dietro il
matrimonio combinato. In tale contesto e di fronte a un fenomeno come
lo stupro, da molti non considerato nemmeno un reato, la Chiesa
cattolica si è distinta come una delle istituzioni maggiormente
impegnate a promuovere la dignità e operare concretamente per
l’emancipazione della donna, auspicando una presa di coscienza
dell’intera società.
Tuttavia la Chiesa rifiuta la pena di morte e la castrazione chimica
per gli stupratori, discusse nei mesi scorsi dal governo di New Delhi. I
cristiani ricordano che tali misure “non sono parte dell’orizzonte
della Chiesa”. Si preme invece per rendere obbligatoria l'educazione
sessuale nelle scuole pubbliche, di ogni ordine e grado. Il fine è
cambiare la mentalità dei giovani studenti durante gli anni della
formazione, ponendo l'accento sulla pari dignità uomo-donna. Le Chiese
possono dare un contributo, si afferma, “educando al rispetto della
corporeità come dono di Dio e al rispetto verso le bambine, nelle scuole
cristiane”, frequentate da allievi di diverse comunità religiose. Un
progetto pilota già esiste nell’arcidiocesi di Ernakulam-Angamaly,
nello stato del Kerala: è il programma di educazione sessuale “Enlight”,
rivolto a preadolescenti e adolescenti, grazie al contributo di
speciali team di educatori e psicologi. Un impegno massivo potrebbe
avere un impatto reale perché esistono 15.000 fra scuole e istituti
educativi gestiti solo dalla Chiesa cattolica nel paese, in circa 200
diocesi.
Proprio per rivalutare il ruolo della donna nella Chiesa e nella
società, è stato lanciato di recente il “Movimento delle donne
cristiane” che intende ripartire dal Concilio vaticano II e dal
documento di Giovanni Paolo II “Mulieris dignitatem”. Le donne cristiane
“vogliono promuovere atti di compassione e giustizia, difendere la
dignità delle donne, fare rete con altre comunità” ed essere voce delle
donne più povere ed emarginate. Il Movimento si è detto in “piena
sintonia” con papa Francesco che ha più volte ha ribadito l’importanza
della donna. “Le nostre donne subiscono violenze indicibili. Sentiamo
Papa Francesco molto vicino alle sofferenze del popolo dell'India”, ha
ribadito il card. Oswald Gracias.
Anche il contesto pakistano appare segnato da una strutturale
violenza di genere e dall’impegno dei cristiani per la tutela della
condizione femminile. Di fronte al recente omicidio di Farzana Parveen
Bibi, donna incinta lapidata a morte dai suoi familiari nel complesso
dell’Alta Corte di Lahore, ha alzato la voce l’arcivescovo emerito di
Lahore, dichiarando all’agenzia vaticana Fides: “Il delitto
d’onore è un'antica usanza che va sradicata al più presto. Questa
pratica malvagia non può trovare posto in una società democratica, in
cui il diritto alla vita di ogni persona va rispettato e difeso”.
Farzana è stata uccisa in pieno giorno da una folla di circa 20 persone
perché alcuni mesi fa aveva sposato un uomo contro il volere della sua
famiglia. Nemmeno gli agenti di polizia in servizio hanno cercato di
salvarla. Nella mentalità corrente, infatti, di fronte alla questione di
“onore familiare”, è bene non interferire. I vescovi pakistani sono
impegnati in una campagna contro il delitto d’onore che, secondo fonti
della società civile, nel 2013 ha mietuto circa 900 vittime, tutte donne
uccise dalle proprie famiglie. La pratica si perpetua specie nella aree
remote, dove le famiglie impongono alle ragazze matrimoni forzati con
uomini spesso molto più anziani di età.
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giovedì 29 maggio 2014
Difendiamo la diversità delle sementi autoctone
da repubblica.it
A rischio il pane di Altamura i grani tradizionali scompaiono
L'appello lanciato dalla Legambiente e dal Parco nazionale dell'Alta Murgia: le sementi tradizionali mantengono la storia dei sapori e ci possono aiutare nell'epoca del caos climatico
di ANTONIO CIANCIULLO
ROMA - E' raffigurato sul portale della cattedrale di Federico II di Svevia, ad Altamura. Ora però il pane che fa da ambasciatore globale a uno dei paesi più noti della Puglia rischia di rimanere un'immagine, un ricordo storico. I grani tradizionali senza i quali non si può creare la fragranza della crosta che contrasta con la morbidezza della mollica di colore giallo paglierino, stanno per sparire, cancellati dai campi.
L'allarme viene dal Parco nazionale dell'Alta Murgia, il più grande parco rurale d'Italia, che ha lanciato, assieme a Legambiente, il Festival della Ruralità a Castel del Monte (Andria) presentando i risultati di una ricerca da cui emerge che solo il 2% delle aziende agricole del parco continua a coltivare il simeto, l'appulo, l'arcangelo, il duilio. Cioè i quattro tipi autoctoni di grano duro che hanno permesso al pane di Altamura di ottenere dall'Europa, unico in Italia, il marchio Dop.
"Abbiamo fatto della difesa dell'agricoltura tradizionale una delle nostre battaglie principali", spiega Cesare Veronico, presidente del Parco nazionale dell'Alta Murgia. "Il nostro territorio è segnato sia geograficamente che culturalmente dalle masserie fortificate, i segni architettonici della storia del pane. E questa cultura non può essere persa: lanciamo un appello per creare le condizioni che permettano il rilancio delle coltivazioni autoctone della Murgia che rischiano di essere sostituite dalle colture estensive industrializzate".
I primi dati della ricerca sulle sementi originarie indicano che, sotto le pressione del parco, si è registrata una prima, timida inversione di tendenza, ma molte varietà di grani, ortaggi, legumi sono sull'orlo dell'estinzione. A rischio sono il cece nero di Cassano delle Murge; la lenticchia gigante d'Altamura, verde e saporita; il cece rosso di Gravina di Puglia; la cicerchia dell'Alta Murgia. Una ricchezza che rischia di sparire per sempre dai nostri campi e dalle nostre tavole, spazzata via dall'industrializzazione crescente dell'agricoltura perché le colture tradizionali vengono considerate "poco produttive" dall'industria del cibo massificato, perché sono fuori taglia per le macchine agricole, perché la mancanza di uniformità (che in realtà è un punto di forza) viene percepita come un difetto.
Per questo Legambiente e parco propongono un'opera di recupero e conservazione indispensabile per mantenere la diversità dei sapori, che è la base del successo del made in Italy alimentare, e anche per ridare spazio a varietà autoctone che sono più resistenti al caos climatico, alla siccità e all'attacco dei parassiti.
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Eliminare Dio = Eliminare l'umanità
dal sito www.tempi.it
Maggio 29, 2014 Leone Grotti
Nel 2013 nel paese sono state uccise 1.816 persone con la pratica della “buona morte”, nel 2003 erano 235. E i numeri sono certamente sottostimati

Nel 2013 in Belgio sono state uccise 1.816 persone con l’eutanasia. I numeri pubblicati dal Le Soir evidenziano un aumento rispetto al 2012 del 26,8%, essendosi verificati in quell’anno 1.432 casi. In Belgio quindi si contano 150 casi di eutanasia al mese, cinque al giorno.
NUMERI PARZIALI. I numeri sono però parziali perché riguardano solo i casi regolarmente riferiti alla Commissione di controllo dell’eutanasia, creata in Belgio nel 2002 quando è stata approvata la legge con l’incarico di monitorare e punire gli abusi della norma (qui un elenco). In 10 anni la Commissione non ha mai riscontrato neanche un caso di irregolarità, anche perché il suo presidente è il pioniere dell’eutanasia Wim Distelmans, ma questo non significa che non ce ne siano.
Un famoso medico in Belgio, il dottor Cosyns, già nel 2007 dichiarava pubblicamente: «Io non consulto mai un secondo medico» nei casi di eutanasia, cosa richiesta dalla legge. Nel 2013, invece, ha detto davanti al Senato che l’ha chiamato per discutere l’estensione dell’eutanasia ai minori, poi approvata: «È dal 2011 che non riporto più alla Commissione i casi di eutanasia».
«BANALIZZAZIONE DELLA MORTE». In Olanda inoltre, dove la legge sull’eutanasia è molto simile a quella del Belgio, secondo uno studio di Lancet il 23 per cento di tutti i casi di eutanasia non viene riportato. Ma anche se aggiornati con questo difetto, i dati riferiti dalla Commissione belga impressionano se si pensa che dal 2003 le persone uccise con l’eutanasia nel paese sono aumentate di oltre il 700 per cento. Nel 2003, come mostra la tabella in alto, i casi erano 235 contro i 1.816 del 2013.
Le cifre, inoltre, sono cresciute in modo costante a conferma dell’allarme lanciato dai medici belgi: «La legge sull’eutanasia sta portando alla banalizzazione della morte».
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giovedì 22 maggio 2014
Suore in campo contro la schiavitù della prostituzione durante la Coppa
Interessante iniziativa di un gruppo di religiosi che cerca di far venire alla luce anche i retroscena del prossimo evento mondiale.
Per quanto riguarda la realtà di Salvador, ricordo che la periferia della città, specialmente la zona denominata Subúrbio ferroviario è una delle aree maggiormente sfruttate dagli aguzzini che reclutano ragazzine principalmente di famiglie povere per imbarcarle in navi nella vicina "Morro de São Paulo". Attraverso il mare, infatti, i controlli di frontiera possono essere facilmente elusi. Non mancano iniziative locali ed internazioni volte a disincentivare questi crimini, ma, spesso l'appoggio dei "piani alti" riesce a farla franca. La fonte di tutto ciò sono testimoniante da me raccolte presso assistenti sociali e Ong internazionali presenti a Salvador.
dal sito: http://vaticaninsider.lastampa.it/
Prostituzione ai mondiali del Brasile, la rete dei religiosi contro la tratta
Presentata in Vaticano la campagna Talitha Kum. Coinvolti 79 paesi con oltre 800 religiosi di 240 congregazioni interessate. “Senza sensibilizzazione la festa diventa terribile vergogna”
IACOPO SCARAMUZZI, CITTÀ DEL VATICANO
“Dobbiamo rendere consapevoli le persone di quanto accade ai margini dei grandi eventi internazionali come i mondiali di calcio” perché “senza questa consapevolezza e senza agire insieme in favore della dignità umana, le finali della coppa del mondo possono risultare una terribile vergogna invece che una festa di per l'umanità”. E’ suor Carmen Sammut, presidente dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg), a spiegare le ragioni della campagna di Talitha Kum (rete internazionale della vita consacrata contro la tratta di persone) presentata oggi in Vaticano in vista del mondiale di calcio Brasile 2014 e intitolata “Gioca per la vita, denuncia la tratta”. L’impegno di religiosi e religiose contro la “tratta” degli esseri umani, e in particolare la prostituzione, problematica ben nota a Papa Francesco, si scontra contro non poche difficoltà, non escluse alcune connivenze di alto livello, ma punta a rompere il silenzio attorno a questo tema con la grazie alla vasta rete che la vita consacrata ha in tutto il mondo.
La campagna “manifesta la sintonia della vita consacrata con il sentimento del nostro Santo Padre di fronte a questo crimine che egli stesso definisce una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo”, ha detto il cardinale Joao Braz de Aviz, porporato brasiliano di Curia nonché prefetto della congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, il dicastero vaticano responsabile dei religiosi di tutto il mondo. I religiosi e le religiose “si trovano in tutto il mondo impegnati nella loro missione in mezzo a tutte le forme di povertà e toccano con le loro mani, l'umiliazione, la sofferenza, il trattamento inumano e degradante inflitto a donne, uomini e bambini di questa schiavitù moderna”. La campagna, nata come “Religiose contro la tratta di persone”, nel 2009 si è trasformata in una “Rete Internazionale di Vita Consacrata Contro la Tratta di Persone” promossa da Uisg e Oim (Organizzazione internazionale per i migranti) e finanziata dal governo Usa (presente alla conferenza stampa moderata dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, anche Antoinette C. Hurtado dell’ambasciatrice statunitense presso la Santa Sede). Dopo cinque anni, ha detto da parte sua suor Estrella Castalone, coordinatrice di Talitha Kum, la campagna “comprende 24 reti che rappresentano 79 paesi con oltre 800 religiose/religiosi di 240 congregazioni coinvolti, tutti impegnati a fermare la tratta di persone”.
A fornire i dettagli della campagna è stata, nel corso della conferenza stampa, suor Gabriella Bottani, comboniana italiana che abita in Brasile e coordina oltre 250 religiosi della rete “Um Grito pela Vida”, membro di Talitha Kum. La campagna “promuove azioni preventive di presa di coscienza e formazione, sostiene le persone che denunciano la tratta, segue il reinserimento psico-sociale delle vittime e partecipa alla definizione di linee politiche e di progetti sociali”. Concretamente la campagna “utilizza media e social network per informare e sensibilizzare la popolazione sui possibili rischi e su come intervenire per denunciare eventuali casi” e sarà presente nelle 12 capitali brasiliane che accoglieranno le partite dei mondiali. Il materiale in lingua portoghese è disponibile nel blog della Rete 'Um Grito pela Vida' e tutte le azioni della campagna sono divulgate sulla pagina facebook “jogueafavordavida”.
Le persone trafficate in Brasile, ha precisato la religiosa comboniana, “sono per la maggior parte donne giovani, originarie di famiglie povere, con bassi livelli di studio. La finalità principale è lo sfruttamento sessuale”. Nel contesto latinoamericano e caraibico “il Brasile – ha spiegato – è un paese con un’alta percentuale di turismo a scopo sessuale e questo incide significativamente sul fenomeno dello sfruttamento della prostituzione soprattutto minorile e spesso apre le porte al traffico interno o internazionale”. La “mancanza di conoscenza della realtà della tratta di persone da parte della popolazione e la scarsa informazione veicolata dai mezzi di comunicazione – ha detto – sono tra le principali cause che la rendono un fenomeno poco visibile, quasi impercettibile” e “nelle campagne pubblicitarie, le donne vengono prevalentemente presentate come oggetti di piacere sessuale e consumo, all’interno di un sistema socioeconomico centrato sulla logica esclusiva del mercato, dove il lucro è spesso al di sopra delle persone. Questo – la conclusione – favorisce l’azione di chi, offrendo false promesse di lavoro e di vita migliore, alimenta il ricco commercio di persone”.
L’esperienza del passato “ha messo in evidenza che i rischi della tratta per sfruttamento sessuale e del lavoro si incrementano in relazione ai grandi eventi, come è stato durante i mondiali in Germania e in Sudafrica, dove si è avuto rispettivamente un aumento del 30 e del 40%”. Dati certi, però, non ci sono: “Sappiamo che c'è un aumento dello sfruttamento della prostituzione, ma la tratta è un fenomeno su cui abbiamo poche informazioni, pochi dati e questo è una grande difficoltà.
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sabato 10 maggio 2014
Un grido di disperazione inascoltato
9 milioni i clienti in Italia!
dal sito www.vaticaninsider.lastampa.it/
«L'olocausto silenzioso delle schiave del sesso»
Intervista a Vatican Insider di don Aldo Buonaiuto, sacerdote del servizio anti-tratta della comunità Giovanni XXIII
ROMA
L'atroce assassinio della ventiseienne romena Andreea Cristina Zamfir ha portato sotto i riflettori dei mass media una realtà del tutto ignorata dalla società. «E’ servito l’orrore di una crocifissione perché si stringesse il cerchio attorno al lucido folle che nell’indifferenza generale aveva già seviziato altre schiave della strada». Alla comunità Giovanni XXIII don Aldo Buonaiuto mobilita volontari in tutta Italia per soccorrere «ragazze marchiate nel corpo e nella mente».
Le prostitute sono vittime di serie B?
«Da vive sono brutalizzate, da morte vengono subito dimenticate. Le ripugnanti violenze commesse nei loro confronti finiscono nell’oblio. E’ come questi crimini fossero meno gravi perché riguardano soggetti deboli, invisibili. Il maniaco seriale di Firenze aveva una vita normale di giorno e di notte diventata l’aguzzino di quelle che nella Via Crucis di Pasqua abbiamo chiamato proprio le “crocifisse”. Sono tragedie per le quali si è diffusa assuefazione: non finiscono quasi mai sui mass media, l’interesse nell’opinione pubblica è scarso e non scatta alcun allarme sociale né alcuna intensificazione dell’attività di indagini. E’ un olocausto silenzioso».
Come nasce la violenza “invisibile” sulle strade?
«In Italia 9 milioni di clienti comprano sesso e spesso sfogano perversioni, rabbia, frustrazioni. Sono tante le derelitte che vengono trovate nei fossi o ai bordi delle strade: ferite, uccise, rese irriconoscibili. Spesso senza un’identità accertata. Sono arrivate dall’estero su ricatto degli sfruttatori e non sappiano neppure il loro nome. Il loro destino è terrificante: violenza in vita, oblio in morte. Non hanno scelto di finire per strada. Sono state portate in Italia: rapite, minacciate, schiavizzate da organizzazioni criminali e in molti casi sottoposte a sevizie indicibili dai clienti. Nel Nord Europa si colpisce la domanda e invece da noi c’è chi vuole legalizzare la compravendita di esseri umani. Nessuna donna nasce prostituta. C’è sempre qualcuno che la costringe a diventarlo».
Quali sono le ferite delle «schiave del sesso»?
«Le troviamo mutilate, con indicibili sfregi fisici e psicologici per le torture subite dai magnaccia e dai clienti. Sono abbandonate da tutti ed è percezione diffusa che far loro del male sia meno grave. Donne a perdere. Per questo è importante che vengano inflitte ai colpevoli pene certe e severe. Solo così aumenteranno le denunce delle vittime e finalmente i protettori-criminali smetteranno di farsi beffe dello Stato. Ripeto: nessuna donna nasce prostituta. Non possono essere tolte dalla strada e chiuse in un "recinto" perché nessuno può comprare il corpo di una donna in nessun modo. Bisogna collaborare per liberarle dallo sfruttamento».
E' una lotta contro i protettori?
«Le donne che si vedono lungo le strade sono costantemente controllate dalle organizzazioni che le sfruttano, le vendono e le torturano se alla fine della serata non portano i soldi richiesti. Il nostro impegno deve essere quello di liberarle dallo sfruttamento e garantire loro la possibilità di iniziare una loro vita. E per aiutare queste giovani donne bisogna cooperare, applicando le ordinanze e le leggi affinché non restino solo sulla carta. Occorre un coordinamento tra istituzioni, forze dell'ordine, sindaci e l'intera comunità. E’ importante che i prefetti si impegnino ad agevolare le pratiche per garantire a queste ragazze il permesso di soggiorno e a tutte le forze dell'ordine, che già svolgono un ottimo lavoro, di perseguire i clienti e non le vittime. Un pensiero va rivolto ai clienti che, come ho potuto constatare personalmente, sono nonni, padri e giovani fidanzati di medio-alto ceto sociale, affinché non dimentichino che quelle ragazze potrebbero essere loro figlie e nipoti».
venerdì 2 maggio 2014
Due disperati gridi di attenzione: Carla e Marina
dal blog gliocchiscuridelsamba.blogspot.com.br
La notte tranquilla per alcuni, non lo è per loro due. Due donne più o meno coetanee, sulla trentina. Una chiara di pelle, l'altra scura. Una di Salvador, l'altra di un altro stato del Nord-est brasiliano. Entrambe senzatetto, entrambe con dipendenza da alcool e droga.
La notte tranquilla per alcuni, non lo è per loro due. Due donne più o meno coetanee, sulla trentina. Una chiara di pelle, l'altra scura. Una di Salvador, l'altra di un altro stato del Nord-est brasiliano. Entrambe senzatetto, entrambe con dipendenza da alcool e droga.
Quando arrivo in comunità, Carla è già buttata per terra, sul marciapiede, delirante, come minimo ubriaca. Non c'è verso di calmarla. Nel suo dimenarsi contro un avversario invisibile impreca contro la polizia, dicendo di non voler essere arrestata, chiama la mamma, minaccia di morte, chiede di essere uccisa, ci domanda perché non l'ammazziamo subito, etc. Grida di dolore, si mescolano al pianto, diventando grida di disperazione, di rabbia contro il mondo ma, soprattutto verso sé stessa, sporca di urina e feci che, nel trambusto, ha fatto nei propri pantaloni. Sdraiata per terra, si contorce e rotola sul marciapiede, rischiando di finire in strada, dove le auto sfrecciano a 60-80 km/h sul rettilineo ampio a 4 corsie. Frenare la sua corsa verso la strada non è facile, ci prendiamo qualche pugno per farlo. Cerchiamo di calmarla, le prepariamo un giaciglio con del cartone ed una coperta dove calmarsi; senza risultati. La situazione si protrae finché un suo conoscente ci suggerisce di portarla nel luogo dove dorme abitualmente, una tettoia di fronte ad un magazzino a circa 400 m da lì. Ma non si convince ad andare. Non c'è un dialogo fra il suo mondo ed il nostro.
Tocca prenderla a forza, in quattro, tanto si dimena e vista la corporatura pesante, che ci costringe a riposarci due volte lungo il cammino. Ma, finalmente, arriviamo. La lasciamo lì, accanto al giaciglio di cartone e coperta.
Mi impressiona al pari di Carla l'indifferenza delle auto che sfrecciano accanto a noi, visto che la situazione è molto equivoca e potremmo essere scambiati per malintenzionati che portano una donna chissà dove: nessuno che si fermi, nessuno che ci domandi spiegazioni, nessuna coscienza che si interroga e si esterna in una parola rivoltaci o in uno sguardo stupito.
Marina invece è sobria, ma non mangia da ieri, quando si è ubriacata, quasi a stomaco vuoto, fino a perdere i sensi. La cachaça (acquavite a 40°) è la sua droga ed ammette di sentirne il bisogno. Ma più di questo ha fame. Ha sempre un volto triste, deluso, di chi si è fidata ed è stata tradita. Parla un po' con me, cosa faccio, da dove vengo. Lei non è di qui, le piace Salvador, anche se ultimamente si è stancata. Mi dice che non fa nulla da mattina a sera. Alla fine mi dice che le è venuta voglia di fare un figlio con me, che ancora non ha figli ed è venuto il momento. Così, senza sapermi spiegare il perché, continua con la sua proposta. Mi confida che si sente sola, ed infatti non l'ho mai vista accompagnata e la vita di strada, per una donna sola, è molto più difficile. Poi, per fortuna arriva la minestra e, subito dopo, Marina si sdraia e può, finalmente riposare, almeno per questa notte sobria e senza fame.
Due gridi di dolore disperati, verso tutti e nessuno. Due gridi pieni di dolore per occasioni sprecate, promesse non mantenute, anche verso sé stessi. Due vite nascoste, non riconosciute, ignorate. Le macchine sfrecciano accanto senza fermarsi. Una donna è buttata per terra, 5 uomini le stanno attorno, la portano a peso e nessuno si indegna, si interroga, si ferma. Così le loro occasioni sono sfrecciate loro accanto. Forse qualcuno si è fermato, ma poi è ripartito. E, loro, rimaste lì. Gli altri, la società “normale” tranquilli nel loro torpore quotidiano organizzato. Loro no, non ce la fanno a non reagire. Ma fanno male a loro stesse, non avendo altra scelta.
Finché la loro forza di volontà non reagirà, continueranno a restare nel fosso. Finché si rivolgeranno all'alcool e alla droga, continueranno a vedere le auto sfrecciare accanto e, loro, a piedi, buttate in qualche deprimente marciapiede di una metropoli.
sabato 26 aprile 2014
Perché pellegrinare
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fonte: http://www.cronachedicammini.com/ |
- AFFIDAMENTO: lasciare le proprie certezze e sicurezze materiali e non.
- INCONTRI: il pellegrino è naturalmente disposto alla relazione con l'altro, nel chiedere un bicchiere d'acqua e nell'ascoltare quando nessuno si ferma.
- USCIRE DALLA ROUTINE, SGUARDO DISTACCATO, MIGLIOR DISCERNIMENTI: lasciando le cose e persone, riesce a dare il giusto peso alle mozioni interiori.
- LIBERTÀ: il pellegrino si sente parte di un Tutto, ben oltre il nostro sguardo o una stretta valle.
- PREGHIERA CONTINUA: naturale atteggiamento di dialogo, esercizio della preghiera dell'invocazione di Gesù o preghiera del cuore (descritta nel libro "Racconti di un pellegrino russo"), lettura della Bibbia, meditazione, contemplazione.
- DESERTO: favorito dai tanti momenti di silenzio ed isolamento e dalla lettura della sola Bibbia e di un altro libro spirituale.
- TESTIMONIANZA: negli incontri che gli si offrono, il pellegrino, con rispetto, è pronto ad ascoltare e testimoniare la propria fede.
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Pensieri sulla vita
Paolo di Tarso e Lucrezio: così lontani eppure così vicini.
Lucrezio
Così le cose non cesseranno mai di nascere le une dalle altre,
e la vita a nessuno è data in proprietà, a tutti in usufrutto.
Paolo
"Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?"
Perché esiste qualcosa più grande di noi, che possiamo vedere con la ragione a partire dalla natura e dalla nostra vita; la prima reazione non può che essere lo stupore di un bambino.
Lucrezio
Così le cose non cesseranno mai di nascere le une dalle altre,
e la vita a nessuno è data in proprietà, a tutti in usufrutto.
Paolo
"Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?"
Perché esiste qualcosa più grande di noi, che possiamo vedere con la ragione a partire dalla natura e dalla nostra vita; la prima reazione non può che essere lo stupore di un bambino.
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lunedì 21 aprile 2014
Perché noi valiamo
Riporto un articolo di Antonio Socci che, da una frase di Papa Francesco traccia un rapido excursus sull'origine del valore della singola persona, affermando che la morte in croce di Gesù e le sue numerose sofferenze sono per me, per te. L'autore riepiloga poi le straordinarie scoperto fatte sulla sindone, il lenzuolo che ha avvolto il corpo del crocifisso quando è rimasto nel sepolcro
Posted: 20 Apr 2014 12:08 AM PDT
Il 9 aprile scorso, durante l’Udienza generale in Piazza San Pietro, una persona dalla folla ha gridato verso il Pontefice: “Papa Francesco, sei unico!”. Il Santo Padre gli ha risposto: “Anche tu, anche tu sei unico. Non ci sono due come te”.
Con quella semplice battuta ha espresso una verità immensa, che caratterizza il cristianesimo. Infatti per il mondo il singolo è solo un numero, sostituibile con tanti altri, cioè sacrificabile al potere.
Le ideologie moderne poi considerano come protagonisti della storia dei soggetti collettivi (la Razza, la Classe, la Nazione, l’Umanità) o entità astratte come il Mercato, il Capitale, il Partito e lo Stato.
RIVOLUZIONE
Invece con l’avvenimento cristiano accade qualcosa di rivoluzionario: l’unico Dio che scende sulla terra e ha pietà di ogni singola persona, specie del miserabile, del peccatore incallito, del malato, di ciascun uomo.
Per compassione il Figlio di Dio lo abbraccia, lo risana, lo perdona, addirittura si inginocchia davanti a lui e gli lava i piedi (ovvero fa quello che facevano gli schiavi agli ospiti). Fino a morire per lui, per quel singolo essere (insignificante per il mondo).
Davvero una rivoluzione, un totale capovolgimento dell’ordine costituito da millenni, da sempre basato sui sacrifici umani, in molte forme (a partire dallo schiavismo, fondamento delle economie antiche).
Lo colse bene il più fiero avversario moderno del Nazareno, ovvero Friedrich Nietzsche che scrisse: “L’individuo fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani… La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie – è dura, è piena di autosuperamento, perché abbisogna del sacrificio dell’uomo. E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato”.
Noi neanche più ce ne rendiamo conto. Ma il cristianesimo è entrato nel mondo proclamando la fine di tutti i sacrifici umani.
In quale modo lo ha fatto? Col sacrificio del Figlio di Dio. L’editto di liberazione è scritto sulla sua stessa carne.
Lo ha spiegato il filosofo René Girard: Gesù è letteralmente “l’Agnello di Dio” (il capro espiatorio) che si offre in olocausto affinché tutti vengano liberati dalla schiavitù del male e nessun essere umano venga più sacrificato agli dèi della menzogna e della morte.
Ma – attenzione – ancora una volta Gesù non si offre a quella morte orrenda per un’astratta Umanità, bensì per ogni singolo, per me che scrivo questo articolo, per te che leggi.
La dottrina cattolica è arrivata ad affermare che, agli occhi di Dio, la salvezza di un singolo essere umano vale più dell’intero creato.
E la mistica ci ha fatto scoprire che – in un modo misterioso – in quelle ore di atroci sofferenze Gesù pensò proprio a ognuno di noi, nome per nome, ai nostri volti. Uno per uno.
Fa impressione accostare questa rivelazione dei mistici alle fasi del supplizio di Gesù.
La Sindone ci dà la perfetta immagine fisica di quelle atroci torture che il Vangelo elenca in modo scarno, quasi freddo. Vediamole.
LETTERA DI SANGUE
Le tante tumefazioni sul volto sono i segni dei pugni sopportati (con gli sputi e gli insulti) nelle fasi concitate dell’arresto. Però il naso rotto, l’occhio gonfio e i sopraccigli feriti (evidenti sulla Sindone) sono anche la traccia della bastonata in faccia subita da Gesù durante l’interrogatorio del Sinedrio (Gv 18, 22-23).
Poi c’è quell’inedita macellazione dei 120 colpi di flagello romano (a tre punte) che gli hanno devastato tutto il corpo strappandogli la carne in più di trecento punti (un supplizio del tutto anomalo anche per i crocifissi).
Ma una delle cose più dolorose per Gesù è il peso ruvido della traversa della croce che, lungo il tragitto del Calvario, letteralmente gli scopre le ossa delle spalle provocando sofferenze indicibili.
Poi Gesù avrà la testa trafitta da circa 50 lunghe spine (la corona beffarda dei soldati romani), qualcosa che non è umanamente sopportabile.
Ma la Sindone mostra anche ferite al volto e alle ginocchia dovute alle cadute mentre andava al Calvario (avendo le braccia legate alla traversa della Croce, non poteva ripararsi la faccia).
Infine le ferite dei chiodi, per la crocifissione, e le ore trascorse a respirare dovendosi appoggiare proprio sugli arti inchiodati.
Bisognerebbe fissare una per una queste atroci sofferenze ricordando che in quel momento Gesù pensava a me e a te, sopportava tutto per me e te, al posto mio e tuo, perché non fossimo sacrificati alle crudeli divinità delle tenebre.
SCOPERTE RECENTI
In questi giorni si è saputo che un’équipe di studiosi veneti, lavorando sulla Sindone, ha scoperto altri particolari impressionanti.
I ricercatori Matteo Bevilacqua, direttore del reparto di Fisiopatologia Respiratoria dell’Ospedale di Padova e Raffaele De Caro, direttore dell’Istituto di Anatomia Normale dell’Università di Padova, hanno lavorato insieme con Giulio Fanti, professore del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Ateneo padovano che già in passato ha pubblicato studi sulla Sindone che ne accreditano l’antichità.
Dunque questi specialisti hanno provato a riprodurre ciò che fu inflitto all’uomo della Sindone: la simulazione ha comportato due anni di lavoro.
Hanno concluso che le mani del crocifisso probabilmente furono bucate dai chiodi due volte, evidentemente perché non si riusciva a fissarle ai solchi già prefissati sulla croce.
“Per i piedi invece la situazione cambia”, spiega Bevilacqua (le sue dichiarazioni sono riportate dal Mattino di Padova). “Il piede di destra aveva sia due chiodi che due inchiodature: era stato infilato un chiodo a metà piede per assicurare l’arto sulla trave, poi è stato infilato un altro chiodo lungo due centimetri per riuscire ad accavallare il calcagno del piede sinistro sulla caviglia del piede destro”.
Atrocità che si aggiungono a quelle già note, riferite dai Vangeli. Del resto la crocifissione, nel caso di Gesù, “è stata particolarmente brutale” affermano questi specialisti “perché fatta su un soggetto paralizzato che aveva perso molto sangue e che era stato abbondantemente flagellato”.
Ma perché l’uomo della Sindone era in parte “paralizzato”?
Questi specialisti spiegano che la traversa della croce, di una cinquantina di chili, in una delle cadute avrebbe provocato un grave trauma al collo, con una lesione dell’innervazione e una conseguenze paralisi del braccio destro.
Per questo i soldati romani costrinsero Simone di Cirene a portare la croce che Gesù non poteva più sostenere. I ricercatori padovani – i quali aggiungono che l’uomo della Sindone aveva pure una lussazione della spalla – spiegano anche le cause cardiache della morte.
PROVA DELLA RESURREZIONE
Tutti dati reperibili sulla Sindone che però porta anche le tracce della resurrezione. Per la connessione di questi tre dati.
Primo: i medici legali che hanno lavorato in passato su quel lenzuolo hanno appurato che esso ha sicuramente avvolto il cadavere di un uomo morto per crocifissione.
Secondo: gli scienziati americani dello Sturp che analizzò la Sindone, con strumenti assai sofisticati, conclusero che quel corpo morto non rimase dentro al lenzuolo più di 40 ore perché non vi è alcuna traccia di putrefazione.
Terzo. Costoro accertarono che i contorni della macchie di sangue provano che non vi fu alcun movimento fra il corpo e il lenzuolo. Il mancato strappo dei coaguli ematici rivela che il corpo non si spostò, né fu spostato, ma uscì dal lenzuolo come passandovi attraverso.
E con il misterioso sprigionarsi, dal corpo stesso, di una energia sconosciuta che ha fissato quell’immagine (tuttora senza spiegazione scientifica).
Arnaud-Aaron Upinsky osservò che “la Sindone porta la prova di un fatto metafisico”. In effetti è la resurrezione di Gesù. Che ha sconfitto il male e la morte per ciascuno di noi. Uno per uno. E ci regala l’immortalità.
Antonio Socci
Da “Libero”, 20 aprile 2014
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Gesù,
voglio difendere la vita
venerdì 18 aprile 2014
Ciò che conta davvero: difendere la vita
In mezzo al mare di futili idee e vanità politico-economiche, non dimentichiamo di chi è in carcere dal 2009 in attesa di un processo, sospetta di blasfemia.
dal sito www.tempi.it
Asia Bibi: “Io credo, risorgerò”
La donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan vive l’assenza di un processo come “il suo venerdì santo” ma non perde la speranza. Come testimonia il messaggio inviato in esclusiva a Vatican Insider
PAOLO AFFATATO
ROMA
“Credo con tutto il mio cuore, con tutte le mie forze e la mia mente che risorgerò. La salvezza verrà presto anche per me”: io giorno del Venerdì santo, inchiodata alla sua croce di oltre 4 anni e mezzo di carcere da innocente, Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia, compie la sua professione di fede, e consegna in esclusiva aVatican Insider un accorato messaggio di speranza.
Asia Bibi, in trepidante attesa della sua sorte, ha ricevuto ieri la notizia della cancellazione dell’udienza, prevista il 14 aprile, del suo processo di appello: il procedimento è stato rinviato sine die senza una motivazione plausibile. Solo perchè i giudici dell’Alta Corte di Lahore, intimiditi e intimoriti da possibili rappresaglie dei fondamentalisti islamici, finora si sono sottratti alla responsabilità di trattare il suo caso: decidere su Asia Bibi – soprattutto su una eventuale assoluzione - è una patata fin troppo bollente. Meglio declinare. Gli avvocati difensori, dal canto loro, hanno confermato che faranno tutti i passi necessari, come una istanza al presidente della Corte, perché il caso venga normalmente calendarizzato.
Raggiunta da Vatican Insider attraverso il suo avvocato e le persone che le sono più vicine, Asia Bibi ha espresso tutto il suo rammarico per quella che considera “una ulteriore discriminazione”. “Oggi per me non c’è posto in tribunale, non c’è occasione o luogo dove possa dimostrare la mia innocenza. Prego e spero che un giudice riceva luce da Dio e abbia il coraggio di vedere la verità”, ha detto fra le lacrime. Asia vive oggi il suo venerdì santo immersa nella preghiera: “Mi specchio nella croce di Cristo, nella certezza che tanti fratelli e sorelle nel mondo mi sono vicini e stanno pregando per me”.
Ma, nonostante la tragica situazione e la sofferenza che la tocca da quasi cinque anni, la speranza alberga ancora nel cuore della donna: “Quando Cristo risorgerà, nel giorno di Pasqua, Egli deciderà per me una nuova strada di giustizia, mi terrà con Lui in un regno dove non vi sono ingiustizia e discriminazione. Cristo ha promesso che risorgerò con Lui”. Ecco la Pasqua di Asia, che vive questi giorni in solitudine, in una cella del carcere femminile di Multan, aggrappata solo alla lettura della Bibbia.
Intanto si moltiplicano in Pakistan le iniziative e le veglie di preghiera, per Asia Bibi e per altre due recenti condanne a morte di cristiani per blasfemia: quella di Sawan Masih e quella dei coniugi Shafqat: Emmanuel, disabile, e sua moglie, Shagufta Kausar, colpevoli, secondo le accuse, di aver inviato “sms blasfemi”. Anche per loro si profila un lungo calvario giudiziario, come quello di Asia.
Asia Noreen Bibi è stata denunciata il 19 giugno 2009 dal mullah musulmano Qari Muhammad Sallam, che l’ha accusata di blasfemia, secondo l’articolo 295c del Codice Penale. Dopo le indagini, la polizia presentò il suo rapporto il 12 luglio e il caso andò a processo presso il tribunale di primo grado di Nankana Sahib. I fatti contestati ad Asia (aver insultato il Profeta Maometto, dopo un alterco con altre donne musulmane) sono avvenuti il 14 giugno 2009. Gli avvocati della difesa, nel processo di appello, intendono far leva sullo scarto di cinque giorni fra il verificarsi dei fatti (14 giugno) e la presentazione della denuncia (19 giugno) per dimostrare che le accuse sono del tutto montate. Asia è stata condannata a morte l’8 novembre 2010 dal tribunale di primo grado. L’appello è stato depositato davanti all’Alta Corte di Lahore l’11 novembre 2010. Ma, per motivi di opportunità e di contesto, per pressioni religiose e politiche, solo ora, quasi quattro anni dopo, è stato preso in considerazione e, inizialmente, calendarizzato. Da febbraio a oggi, il caso ha subito quattro rinvii, l’ultimo “a data da destinarsi”.
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